La terza Mostra Provinciale, Pisa, aprile 1932

 

III Mostra di Arte

PISA, aprile 1932

 

COMITATO ORGANIZZATORE

Ing. RANIERI FIASCHI

Presidente del Comitato Prov. della Confederaz. Professionisti Artisti

Ing. FEDERICO SEVERINI

Fiduciario della Sez. Pisana del Sind. Belle Arti

Dott. FORTUNATO BELLONZI

Cav. Uff. Ing. GIULIO BUONCRISTIANI

Prof. ALBERTO NICCOLAI

Ing. ALVARO PINELLI

Arch. ORESTE ZOCCHI

 

UFFICIO DI SEGRETERIA

GUSTAVO CENNI, Segretario

Cav. FRANCESCO TELLINI, Cassiere

 

 

Questa III Mostra si inaugura nel segno del Littorio e nel nome caro ed indimenticabile di due geniali artisti pisani G. AMEDEO LORI, FRANCESCO MANETTI

G. AMEDEO LORI (1869 – 1913)

Rievocazione questa di un caro dolce fratello ch’ebbe l’anima assetata di bellezza, che vibrò con la natura, che ne seguì l’eco, con quella stupefazione di gioia che inebria l’anima del fanciullo dinanzi ai grandi spettacoli della vita. Fratello caro, Amedeo Lori, fratello buono, dall’animo gentile; per lui il paesaggio era come una sinfonia, di cui se non seppe esprimere tutte le note armoniose, comprese però, nell’anima capace, tutta la profondità misteriosa, tutta la psicologia infinita.

Poiché invero l’anima sua sapeva dar nuove forme di vita agli elementi del paesaggio e scoprire l’intima essenza delle cose.

Non fu un innovatore superbo, fu un gentile ricercatore della originalità in campi ove altri aveva già segnata la sua orma; e nella squisita sensibilità di cui natura lo aveva doviziosamente provveduto, trovò la fonte della ispirazione.

La grazia fu la dote che in lui prevalse e che lo guidò nei suoi primi tentativi, affermazioni di sane attitudini che avrebbero potuto, col volger degli anni, segnare un’orma più vasta e sicura.

Dopo le sue vittorie di Venezia, di Roma, e quelle di Berlino, Francoforte e Monaco, molti artisti e molti amici dell’arte che, al suo primo apparire, non volsero a lui sguardi benigni, né gli tesero le mani in aiuto, si soffermarono dinanzi ai suoi quadri, prima con curiosità, poi con ammirazione. Segno questo di una occulta forza che il Lori aveva saputo costringere nei suoi quadri e che, a poco a poco, attirava, con dolce violenza, le menti e i cuori «riducendoli non ad umiliante e ingrata conquista, ma a una dedizione spontanea e amorevole».

A Marina cominciò la sua breve ascensione. Su l’aspra spiaggia, su cui Giorgio Byron aveva arso santamente il corpo di Shelley, tra l’odor di resina e del salso mare, in mezzo ad una vita selvaggia, Amedeo Lori, semplice, candido, attonito, guardò e ascoltò con occhi nuovi, con anima più semplice. La natura misteriosa si rivelò a lui sotto diversi aspetti, in forme nuove di vita. Egli avrebbe potuto ripetere le parole di un gigante dell’arte, di Giovanni Segantini. «La Natura era divenuta per me, come un istrumento che suonava accompagnando ciò che cantava il mio cuore. Ed esso cantava le armonie calme dei tramonti ed il senso intimo delle cose, nutrendo così il mio spirito d’una melanconia grande, che producevami nell’anima una dolcezza infinita…»

Una nota dominante nell’arte di Amedeo Lori è infatti la dolcezza della melanconia; i suoi quadri rappresentano quasi sempre la natura morta; v’è in essi continua assenza di vita, solo qualche segno vago: qualche stoppia accesa, qualche capanna, qualche casa lontana, uno stormo di uccelli, Così anche nei quadri che presentò a Venezia nel 1907: La pineta prima del sole e La pineta dopo il sole, e in quelli che presentò a Roma nel 1911: La Palmaria e Alba marina, in cui scorgi una meravigliosa abilità di luce e un perfetto equilibrio di composizione. Si direbbe che la sua pittura abbia sapore leopardiano; è vera lirica, che rappresenta il paesaggio, non come crudamente è, ma come, in realtà, lo vede e lo sente il pittore. E’ un impressionista melanconico, ma dolcemente melanconico, per la sua stessa natura. La sua arte pittorica non ha toni crudi, è ricca di gradazioni, di sfumature, rappresenta il morto paesaggio nei suoi vari aspetti; vi domina una certa unità luminosa che ne è invero la nota principale; caratteri questi che, a volte, lo accostano ai veri impressionisti, a volte ve lo distaccano assurgendo ad una assoluta originalità. Egli sentiva la poesia del paesaggio in modo mirabile; una esile tamerice, un pino, una «bilancia» bastavano a dar vita d’arte al suo quadro; la pineta, la meravigliosa linea delle Apuane, una via arenosa attraverso la macchia, un tramonto fosco, o ‘l sorgere placido della luna, uno stagno perduto fra le dune erbose, bastano a dare ne’ suoi quadri una impressione originale di tocco e di concezione…

Se gli dovessimo trovare un fratello nel vasto campo dell’arte, per quella mania dei confronti che, a volte, s’impossessa di noi, gli porremmo accanto, in atto paterno d’amore, quasi a guidarlo verso la mèta, Giovanni Pascoli. Ambedue, il grande poeta e il semplice pittore, ebbero comune l’attitudine meravigliosa di dar forza di vita e calore di anima alle cose più umili; il loro pensiero corse «alle limpide e sempre fresche sorgenti della natura, eternamente giovane, eternamente bella, eternamente vergine…»

Bocca d’Arno è stata di continuo la passione di Amedeo Lori, sempre egli n’ha portato con sé il ricordo nostalgico che torna anche in tele dipinte altrove. Un po’ della serenità della nostra spiaggia, de’ tramonti sanguigni, della pace sovrana è rimasta nel suo nobile cuore.

Il silenzio profondo «sotto il sole meridian cocente» alla foce, che commosse il D’Annunzio, impera nei quadri di Amedeo Lori con una efficacia che non ha l’eguale, con una semplicità e compostezza di linee, quale appena si gode dinanzi alla realtà, nel pieno meriggio. Si rivelano dalle sue tele e dai suoi pastelli la profondità della forza di osservazione, la ricchezza lirica del temperamento, la educazione dello spirito fatta nella libertà dei campi, nella gran luce e nella grande aria, sì che a lui ogni oggetto, nell’assiduità dell’analisi, si presenta nella forma adatta alla comprensione pel suo spirito meraviglioso e perspicuo che lo sa cogliere in mezzo al più grande quadro della natura.

Per certe sue caratteristiche, per certe tendenze e abitudini pittoriche, Amedeo Lori, allievo del Norfini, vissuto molto con Giovanni Costa e Francesco Gioli, si ricollega alla scuola toscana, specialmente nella ricerca della «unità di atmosfera e d’intonazione»; è buon fratello di Adolfo e Angelo Tommasi, di Angelo Torchi, di Tito Lessi (l’arguto illustratore di Giovanni Boccaccio), ma ritiene anche qualcosa della scuola veneziana degli ultimi tempi.

Tali le doti mirabili di gusto e di squisita gentilezza che formavano il fondo della sua arte, doti che se egli avesse potuto coltivare, lo avrebbero portato nella grande schiera, tra i primissimi paesisti italiani. Io ricordo il benevolo giudizio che dava di lui Adolfo Tommasi, giudizio non velato da alcuna ombra di bontà eccessiva… La morte lo colse troppo presto, quando aveva dati i saggi di quella che poteva essere la sua arte futura, maggiore e più potente, nella complessa e profonda sinfonia dei colori e delle luci. Ond’è che noi, più che l’artista scomparso, deprechiamo la caduta di una nobile speranza, salda, serena, levata verso la vita, sì da parere il simbolo della perpetua giovinezza.

Niccolai

 

FRANCESCO MANETTI (1877 – 1926)

Dopo la sua morte, avvenuta il 27 dicembre 1926, si fa oggi per la prima volta il nome di Francesco Manetti. Questo silenzio non sarebbe d'altronde dispiaciuto a lui che lo amò anche in vita e che sempre si tenne lontano dalle convenzioni mondane. Chi lo ricorda ancora, ricorda la sua figura semplice eppur signorile, il franco parlare, la schiettezza dei modi. Chi gli volle bene sa quale bontà e quale sincerità illuminassero la sua limpida anima. Il tormento di lui nacque proprio da questa bontà che lo portò a prodigarsi senza riserva e ad accettare ogni dovere con severa coscienza. La sua è la solita storia del ragazzo povero, figlio d’una piccola famiglia borghese, ristretta d’idee e di mezzi. La lotta per difendere il proprio sogno, lo studio faticoso, senza guida, senza aiuto, condotto soltanto dall’istinto. Maestri spirituali sì: i capolavori della città natale che orientarono subito l’anima dell’adolescente verso l’aspirazione all’assoluto. Fra ricerche ed esperienze cominciò presto i primi lavori di commissione: le prime pergamene, i primi ritratti a disegno, secondo il gusto del tempo, dove già nella linea sicura si rivela la giustezza dell’occhio. Poi prende il Diploma dell’Accademia di Lucca che gli dà un titolo valido per l’insegnamento: poi il babbo si commuove e gli permette di frequentare per un anno la Scuola del Nudo a Firenze. Scorcio del secolo. Da Cencio, dove si davan convegno gli artisti poveri era tutto un fervore di discussioni. La rivoluzione della pittura in Toscana, gli ultimi macchiaioli, l’impressionismo, il divisionismo. Francesco Manetti che detestava le limitazioni, respirò tuttavia a pieni polmoni quell’aria di rinnovamento, come respirò l’aria di Fiesole e di S. Miniato. I lavori di questo periodo, tutti immediatezza felice, ne rivelano l’influenza. Lo rivela l’autoritratto primaverile, un controluce d’un divisionismo coscienzioso, nel quale possiamo sintetizzare la prima maniera degli anni giovanili. Dopo Firenze egli è costretto a dedicarsi all’insegnamento. Una piccola Scuola Industriale a Massa Superiore. Venti anni o giù di lì. Tempi grigi. Grigi anche i paesi del Po che Francesco Manetti dipinge per effondere il chiuso tormento. Da Massa Superiore ancora a Pisa, non certo senza sua intima felicità. Rieccolo nella città natale, dove le prime impressioni del fanciullo dovranno allargarsi in completezza di conoscenza e in pienezza d’amore. Ha raggiunto ormai il superamento delle facili mete e gli esempi immortali gli indicano la strada fuori di tutte le deviazioni. A mantenerlo in questa calda atmosfera contribuirono i lavori di commissione che gli vennero affidati via via: restauri, ricostruzioni su tavola, reintegramento di membra sparse o perdute. Il Martini e il Traini furono gli amici suoi più fidi: colloqui d’anima ad anima, un cercarsi e un intendersi traverso i secoli, tanto il sentimento quasi verginale di Francesco Manetti fraternizza con quello degli schietti Maestri. Pochi ricercatori conobbero bene quanto lui le sottigliezze e le precauzioni della tecnica per le tempere trasparenti, per i freschi di coraggioso disegno. Predilesse il fresco a tutte le altre tecniche come quella che meglio poteva soddisfare l’anima sua schiva d’artificio. L’Annunciazione, nella lunetta della chiesa quattrocentesca di S. Domenico è opera originale di Francesco Manetti, come la testa del Redentore sulla facciata della chiesa omonima a Barga.             Questa conoscenza e questo amore, onde è pervasa tutta la sua produzione matura, se gli giovarono da una parte, gli dettero anche quel senso di sgomento che si prova davanti alle cose eterne, quando tutto sembra sia stato detto e nulla resti da dire. Nella scuola la grandezza della sua concezione porta un respiro ampio, segna un’ombra inconfondibile con le consuetudini fredde dell’insegnamento. I suoi allievi imparano da lui anche ad eseguire un buon fresco e imparano, quello che più conta, la dignità della decorazione murale. Intanto i lavori di Francesco Manetti si susseguono ininterrotti. Ritratti, quadri a soggetto religioso, decorazioni di chiese, di cappelle, di sale. Una produzione feconda e varia, un’attività cittadina traverso la quale soltanto si può raggiungere la valutazione giusta dell’artista. E in tutte le opere l’impronta sincera di sé, che gli permette di rinascere sempre senza tradirsi in quello che compie per gli altri e per il proprio cuore. Gli anni che precedettero la morte sono presi quasi esclusivamente dal ritratto. L’impulso ormai misurato, la meditata maniera l’hanno reso padrone dei mezzi pittorici, eppure ogni lavoro rimane per lui lunga ed aspra fatica. Prepara i suoi ritratti a verdaccio, dove i toni sovrapposti per velature acquistano in leggerezza: raramente si abbandona a immediatezze coloristiche. All’ultimo ritratto lavorò con indefesso ardore mentre già il male minava subdolo la sua fibra robusta. La fine lo colse così, a quarantotto anni, sempre ricco di sogni, sempre innamorato dell’amore irraggiungibile. Avrebbe potuto dirci di più, perché egli possedeva veramente la giovinezza fuori del tempo; quello che ci ha detto con accento di verità vigorosa basta tuttavia ad assicurargli il suo posto nella schiera dei pittori toscani, uniti fra loro non da un confine materiato di terra e di scuola, ma dall’istinto d’una razza.

Bianca Gerin

 

L’Arte e il Sindacalismo

Nel catalogo dell’anno scorso concludevamo la breve nota che portava lo stesso titolo, annunciando la III Mostra d’Arte, tanta era in noi la certezza di poter giungere a questa manifestazione, superiore per qualità e numero a quella precedente. Né sarebbe stato necessario ritornare sull’argomento e cioè nel voler mettere in evidenza i benefici resultati raggiunti dall’organizzazione sindacale nei confronti dell’Arte essendo stati così chiari e tangibili che gli stessi artisti e pubblico hanno da tempo constatato e riconosciuto esprimendo giudizi nella maniera più favorevole. Ma se fu parlato di selezione di valori in occasione di ogni mostra annuale, selezione che deriva o direttamente dalla volontà dell’artista per uno spontaneo, riflessivo esame di coscienza, o per la necessaria e non sempre severa volontà dei giudici cui è affidata l’organizzazione di ciascuna mostra, occorre mettere in evidenza altro importante beneficio che ne resulta naturalmente E’ certo che tra opera e visitatore non c’è più l’indifferenza, è indubitato che tra artisti espositori e pubblico corrono più cordiali rapporti. Il gusto del pubblico va sempre più aggiornandosi, se non perfettamente affinandosi e per ragione dei tempi che corrono tende naturalmente a distaccarsi dalle più viete e consuete forme espresse dall’ormai defunto passato.

L’arte cosiddetta umbertina, dal monumentino sempre simbolico che trovava la sua più naturale espressione nel pessimo alabastro, al quadretto presuntuoso che crede di perpetuare ad oltranza il nostro pur glorioso macchiaiolismo, tutta roba questa che ricorda Argia Sbolenfi (alias di Olindo Guerrini, ndr) ed il parlamentarismo rinunciatario, è irrimediabilmente lontana dallo spirito del popolo nuovo, sano, consapevole di una sua più alta missione. Ecco perchè non s’interessa più a certe manifestazioni d’arte che sanno di accademia, fredde e scialbe, manierate e goffe ma sempre istrioniche con l’intenzione di accalappiare i residui del cattivo gusto tradizionale.

Indiscutibilmente l’interesse del pubblico si rivolge a quelle opere che pur mantenendo tutto ciò che di nobile suggerisce la tradizione portano il segno di una luce nuova, per ricerche più attente, per espressioni originali, per tentativi più audaci. Ed ecco perché l’attenzione è più viva per certe manifestazioni che sanno assolutamente di nuovo e cioè per quelle nelle quali l’artista si distacca fatalmente dai vecchi canoni e dai consueti rifacimenti. Ma alcuni sedicenti artisti, dall’anima ingiallita ed incartapecorita come foglia autunnale, anche se giovani di anni, dall’aria professorale anche se autodidatti, miopi anche senza occhiali, ipercritici che sanno di aceto «non sapendo fare il vino» frizzantin novello, hanno dovuto sentire, con la loro pur mediocre intelligenza, l’isolamento d’intorno. E non c’è stata mostra nella quale tu non li vedessi, tramare la vendetta, a base della più perfida maldicenza. Oggi non più. Armati degli arnesi del mestiere, tavolozza e cassetta, scalpello e spatola, disdegnando la partecipazione alle mostre, rifuggendo ogni cordiale richiamo, vanno lontano sulla cima del più squallido isolamento rievocando l’immagine storica del più ridicolo «Aventino». La cosa suscita ilare giocondità nei cuori sani e generosi.

C’è ancora della gente che non conosce la storia più recente e non sa che cosa «Aventino» significhi in termine fascista. Questa selezione di valori, salutare per l’Arte, determina le annuali manifestazioni Sindacali.

f.

 

 

L’arte di oggi

A chi consideri l’attuale condizione della pittura nel mondo non sfugge la generale tendenza degli spiriti più illuminati alla virtù compositiva, smarrita nella baldoria impressionista.

Tutto il fenomeno dell’arte moderna – agglomerato multicolore di scoperte e di ritorni – poggia indubbiamente su un piano unico: il bisogno di uscire dal bozzetto per fare il quadro.

E in verità è giunto il momento in cui al nostro spirito apportano la maggiore sazietà del mondo i quadretti 25x 35, ripetuti con la fredda analisi coloristica di chi di fronte alla natura non coglie nulla del suo significato cosmico, anzi non vede di là dal pittoresco. E bisogna dire che non si ripeterà mai abbastanza questa necessità del quadro, almeno fino a che vedremo molti, provveduti anche di una capacità notevole, ripetere il solito ritornello, divenuto una cosa falsa e stonata.

Se fu giusto gridare una volta: usciamo dagli studi alla campagna, oggi è il momento di lasciare la campagna e di tornare agli studi; tornarci con la felice esperienza di quella scapigliatura paesistica che ai bene assennati lascia nel cuore il vuoto e la desolazione, se anche per un momento solo ripensino i chilometri percorsi senza avere realizzato troppo spesso che pochi centimetri quadri di pittura.

Tornare negli studi oggi significa per gli artisti lavorarvi con quella indipendenza e disinvoltura che avevano nei campi; pensare che si possa ricadere nell’accademia è impossibile, date le fortunate conquiste della critica d’arte, divenute ormai di dominio pubblico fra le persone di qualche levatura, e il pericolo comunque è troppo lontano per preoccuparci. L’accademia la facciamo invece fatalmente, limitandoci alla produzione miserevole di tutti i ritaglini di tele e cartoni, spassose impressioni dei luoghi dove passammo, come gli appunti sul carnet dei turisti, dai quali difficilmente uscirà un diario degno di esser letto.

Ma lasciamo da parte quella produzione artistica che richiede anime ben più delicate e pastorali che la nostra, io domando a quelli che guardano al passato: se abborrite di volare con le vostre penne –o come dite voi di uscire dalle regole sacre e inviolabili – e credete necessario tornare alle sorgenti e bere l’acqua che scaturisce dalla sublimazione che della terra fecero i bizantini, e volete rifare purificati la strada a guisa di eclettici per uscire domani a quel miracolo di conciliazione che è essere personali e rientrare nei casellari precisi della peggiore storia dell’arte, voglio dire essere nella tradizione e fuori, perché, dico, o puri di cuore, avete camuffato il carosello pagliaccesco dei preraffaeliti con una archeologia più progredita e siete tanto ciechi da non vedere che uno solo è l’insegnamento fecondo per noi, quello che può venirci dalla considerazione di tutte le arti di tutti i popoli in qualunque età, cioè che l’arte è sempre la vittoria sulla vita e su noi stessi e sul nostro tempo, sola cosa per cui anticipiamo la nostra vita mortale in un avvenire illimitato?

Tutte le esperienze interessano senza dubbio e merita il conto che siano rivissute, ma è necessario considerarle mezzi, non raggiungimenti. Certo mai come oggi l’artista sentì che il mondo è cosa sua, alla quale è venuto a imporre la legge della sua anima, ma fino a che non avrà posseduto la disciplina dello spirito, non avrà quella del mondo ed è facile che ad ogni passo della sua vita voglia o disvoglia; allora vedrà crollarsi d’intorno quella mirabile architettura del tutto a cui tendeva con le forze migliori dello spirito, e la materia della sua espressione tornerà un caos amorfo che lo tenterà ad una nuova opera di demiurgo.

Massimamente sono dei giovani l’irrequietezza, l’intolleranza delle cose viste e delle strade consuete: essi vogliono ardentemente portare il loro bisogno di conquista nei campi ignorati e confondere e sovvertire piuttosto che ordinare e accettare. Essi sono come dei giovani padroni che allegramente danno di bianco alla venerabile vecchiezza della casa ereditata, estirpano allegramente le muffe e le ortiche, piantando ovunque mazzi di fiori di carta variopinta e di fogge mai viste, tutta una fioritura un po’ falsa, ma spensierata, di strane rose che creano un’allegra primavera nel più grigio inverno.

Subentrerà la calma che contempla il mondo passionale, che discioglie l’autobiografia in una serena atmosfera di sovrarealtà: tutte le cose riflesse in una limpida acqua. Bisogna tuffarsi nella vita per uscirne e dimostrare al mondo che al di là della sua decomposizione rimane quel tanto che è il suo lineamento incorruttibile. Trovare questo piano di imperturbabilità, questa legge a cui tutte le cose obbediscono e che è lo stile, appartiene al domani: troppo è ancora nella nostra vita di contrastante e di anarchico.

Ma il più grande pericolo, che intacca la nostra moralità deve essere fin d’ora evitato: l’ossequio alla moda, anche alla più felice, a quella più d’ogni altra aperta al successo e alle vendite.

Le esperienze che percorriamo con la febbrilità che dà la misura del nostro vivere breve e della nostra volontà di tutto conoscere e nulla rimandare all’avvenire, ci porteranno domani una coscienza critica severa che distruggerà la massima parte di quelle audacie e di quei credi. Ma non avremo da rimproverarci la leggerezza e il capriccio se ogni errore, il più puerile, fu sentito come una fede e una verità, se ci abbandonammo ad esso con una fiducia cieca, che fu la nostra gioia ottimista, ed avemmo per ogni cosa tentata entusiasmo e speranza.

Solo così passando per diversi mondi, spesso in aperto contrasto e al tutto inconciliabili, il nostro spirito avrà conservato la sua indipendenza, come se per la prima volta nella storia dell’umanità esso avesse tutto creato dal nulla.

Bellonzi

 

 

 

ORDINE DELLE SALE

Ingresso Sculture

 

Del Muratore Luigi

Bambino che piange  (testa in legno)

Bambino che sbadiglia   »         »

Scimmie (gruppo in legno)

Scimmie      »             »

 

Cenni Gustavo

Bassorilievo decorativo.

 

Ruggieri Gino

A noi                     (gesso)

Tesoro                        »

Il pensiero folle           »

La colpa

La mercede            (gesso)

L’addio                       »

 

Morozzi Dante

Nudo virile (bronzo)

 

Di Beo Pietro

San Francesco (gesso)

Maternità             »

 

Fancelli Otello

Testa di bambino (gesso)

Il lavoro d’Italia       »

Cristo

 

Fagiolini Giotto

S. Antonio       (terracotta)

Testa di donna      »

 

 

SALA PRIMA

Pitture

Furlanetto Manlio

Verso le Alpi (Piemonte)

Paesaggio Canavesano

Mercato a Trieste

La mia famiglia

Luci e ombre

Foce d’Arno

Solo in solitudine (Cadore)

Casa Veneziana

 

Bellonzi Fortunato

Andromeda liberata

Sepoltura di Cristo

Il Martire (Proprietà Federazione Fascista)

La Pesca miracolosa

Notturno urbano

Paese con nudi

 

Di Vestea Donato

L’Arno a S. Piero

Nel parco

Condotti d’Asciano

Pagliai

Paesaggio

 

Conti Alfredo

Visione romantica

 

Severini Federigo

Natura Morta

La mia bimba

Ritratto di signorina

Natura morta

La spiaggia di Torre del Lago

Sulla spiaggia (Marina di Pisa)

Il capannino

Mio padre

Vecchio albero

Spiaggia solitaria

La fornace

 

Pizzanelli Ferruccio

Natura morta

Io e i miei figli

L’Arno a San Rossore

Nel giardino Scotto

Ritratto di signora

Piazza dei miracoli

Sul viale delle piagge

Adolescente

Bambino malato

Mattino sull’Arno

Signora in grigio

 

Sirletti Augusto

Natura morta (Il colombaccio)

Natura morta

Grigio (paese)

Natura morta (pesci)

 

Pertici Menotti

Paesaggio

Paesaggio

Paesaggio

 

Sculture

Morozzi Dante

Donna giacente (bronzo)

 

Cenni Gustavo

Ritratto (testa in gesso)

 

 

SALA SECONDA
Pitture

Pizzarello Salvatore

Conchiglie

Ritratto

Mattino

Vicolo Ruschi

Ponte alla Fortezza

Campanile di S. Paolo

Fosso dei Navicelli

Ritratto

Crisantemi bianchi

S.Michele

Facciata del Duomo

Moriglione

Campanile ed Ospedale

Bottiglia con mele

 

Rosi Mino

Le case del Borgo

Paese

 

Casini Giorgio

Luci mattutine

Settignano

Rustico

L’Albero

Paese

Natura morta

L’aringa

La bottiglia

Campagna pisana

Monti pisani

Cipressi

Il fossetto

 

Sculture

Cenni Gustavo

Riposo (studio di testa in gesso)

Danzatrice (gesso)

 

Vaglini Alvio

Modella (bronzo)

La suonatrice (gesso)

 

 

SALA TERZA

Pittura

Francesco Manetti

Autoritratto a fresco

Autoritratto giovanile

Studio di nudo

Ritratto di ragazza

Bozzetto per «Miniera»

Ritratto femminile (acquarello)

Ritratto della nonna (disegno)

Ritratto femminile (acquarello)

Ritratto di bimbo (disegno)

Ritratto del Conte F.Guidi

Ritratto del Cav. R. Lawley

Ritratto del Cav. C.  Lawle

n.3 Ritratti dei figli del Cav. Lawley

Paesaggio

 

Sculture

Vaglini Alvio

Ritmi (gesso)

La Vita

Ricordi

Donna sorpresa

 

Cenni Gustavo

Danzatrice (terracotta)

 

 

SALA QUARTA

Pitture

Cerri Guido

Bovi sul mare

Natura morta

Mele

 

Satti Ferruccio

La lepre

Fauglia (paese)

Riposo

Carmelina (ritratto)

 

Salvadori Renato

Composizione

Figura al sole

Figura al crepuscolo

 

Santochi Bruno

Piazza dei Cavalieri (fontana e chiesa)

Cavalli al vento

Navicelli

Cavalli

Cani

Piazza dei Cavalieri

Piazza della Berlina

 

Boggioni Gino

Pineta di Tombolo

Vecchi pini e nuove case

 

Gambassi Vincenzo

Ritratto di giovinetta

 

Bonfanti Gino

Gagno (rustico)

Cipressi (impressione)

Fosso dei Navicelli

Campagna pisana (impressione)

 

Scomparini Cesare

Pianura pisana

 

Pagni Renzo

S.Caterina (abside)

Cipressi

 

Fagiolini Giotto

Via S.Zeno

S. Zeno

 

Casieri Manlio

Cipressi

Alba

Campagna pisana

 

Baldassari Livio

Albero

 

Gentilini Nello

Verso Asciano

Padule

I pioppi

Monti pisani

Luminosità

I condotti

La strada della valle

Azzurrità

 

Lonazzi N.

Piazza dei Cavalieri

 

Sculture

Fancelli Otello

Torso di bambino (gesso)

 

 

SALA QUINTA

Pitture

Rossi Curzio

Deposizione

Bozzetto

Ritratto

Sull’Arno

Ritorno all’ovile

Grigio

Paese toscano

Meriggio

 

Sementa Eugenio

La nepotina (ritratto)

Fine di un giorno

Ottobre (Pietramala)

Chiesa pisana

 

Petrini Dario

Dopo il libeccio

Novembre

Moriglione

Primavera in padule

Case al vento

 

Trevisi Mario

Paesaggio

Bozzetto settecentesco

 

Sculture

Vaglini Alvio

Porta gioielli (bronzo)

Figura con agnello (gesso)

 

Cenni Gustavo

Ritratto di bimbo (bronzo)

 

 

SALA SESTA

Amedeo Lori

Tramonto d’autunno

Plenilunio in pineta

Nembo su Boccadarno

Calma di sera

La Gorgona di Boccadarno

Il primo sole sulle Apuane. (collezione comm. A. Bondi)

L’Arno a Porta a Mare. (collezione comm. A. Bondi)

Pini in riviera

Notte alla foce d’Arno

Piccolo pescatore

La spiaggia di Torre del Lago

Le tamerici

Le paranze a Viareggio

Piazza del Duomo (Pisa)

La fontana delle tartarughe (Roma)

Marina di Chioggia

Giornata di vento a Boccadarno

Capanne a Boccadarno (disegno acquarellato)

Disegno della pineta

Barche in ormeggio (tempera)

Colline pisane (disegno a sanguigna)

 

 

SALA SETTIMA

Sculture

Paoli Mario

S. Sebastiano (gesso)

 

Morozzi Dante

Bambino giacente (pietra)

 

Sculture in legno di allievi della R. Scuola d’arte di Cascina

Reali Cioli, Benassi Giorgio, Pighini Sergio, Frassi Renzo, Stefanini Azelio, Bini Nello, Benedettini Plinio, Palamidessi Aladino, Gambini Gino, Sebia, Filidei Rolando, Pucci Otello, Manetti Valfredo, Berti Gino, Mariotti Ettore.

 

Disegni

Petrini Dario

Natura morta (disegno)

Natura morta (disegno)

 

Rosi Mino

Volterra (disegno)

Figure d’uomini (acquarello)

I vagabondi (acquarello)

La taverna degli uomini rudi (xilografia)

I mendicanti (xilografia)

Le case della valle (disegno)

 

Casini Giorgio

Paesaggio (disegno a matita)

Ritratto (disegno a matita)

Conigli (disegno a matita)

Coniglio (disegno a matita)

 

Bellonzi Fortunato

Crocifissione

Il bacio di Giuda

Annunciazione (xilografia)

La cattura di Gesù

Sulla via del Calvario

Balletto russo

 

Morozzi Dante

Figura di donna (disegno a brace)

Figura di donna (disegno a brace)

Figura di donna (disegno a brace)

Figura di donna (disegno a brace)

 

Allievi della R. Scuola d’Arte di Cascina n. 27 disegni ad acquarello